Le strade di Brindisi

Le principali strade della Brindisi messapica (prima del III sec. a. C.) e romana (III sec. a. C. - V sec. d. C.), tuttora riconoscibili, sono il decumano superiore, l'asse stradale costituito dalle vie Santabarbara e Tarantini, e quattro cardini, le vie ad esso perpendicolari e tra loro parallele: Lauro, Pacuvio, il tratto di strada sottostante il nuovo teatro comunale, e Duomo, distanti circa 70 metri l'una dall'altra. Sono invece nascosti da nuove strade ed edifici il decumano inferiore, la lunga strada che partendo da via Carmine in prossimità di via S. Lorenzo tagliava le vie Fornari, S. Ippolito e Palma, attraversava l'area in cui sono il palazzo INA e il Municipio e terminava in via Casimiro; e due cardini, di cui uno percorreva gli orti che sono tra le vie Armengol e S. Benedetto (da via Carmine a via Santabarbara), e l'altro che partendo da via Casimiro giungeva al Duomo attraverso via S. Nicolicchio e vico Seminario.

Furono i Greci i primi a progettare i centri urbani in modo razionale, influenzando anche i Messapi, grandi costruttori di città, giunti nel Salento dalle coste orientali dell'Adriatico, l'Illiria, intorno al 1000-800 a. C.. Mentre in precedenza si edificavano le case e lo spazio tra di esse diventava strada, i Greci adottarono sin dall'VIII sec. a. C. uno schema planimetrico regolare - poi codificato da Ippodamo di Mileto, vissuto nel IV sec. a. C., che progettò il Pireo - con le strade che s'intersecavano ad angolo retto; schema costituito da due o più plateiai (i decumani dei Romani), strade larghe, lunghe e parallele, procedenti in direzione est-ovest, e dagli stenopoi (i cardini dei Romani), vie di dimensioni ridotte perpendicolari alle prime, orientate da nord a sud. Le case si distribuivano in isolati, le insulae, al cui interno erano di regola gli ambitus, passaggi larghi appena una settantina di centimetri. La regolarità dell'impianto urbano veniva meno solo nell'agorà (la "piazza") o nell'acropolis, in cui sorgeva il tempio, accessibile solo ai sacerdoti. All'esterno delle mura erano gli ipogei destinati alle sepolture.

La collinetta che si affaccia sul più breve seno di ponente era invece meno salubre perché esposta ai venti da Sud (tra cui l'Austro), e a causa del mare poco profondo e poco mosso; e dovette essere abitata solo saltuariamente dai Messapi e dai Romani, soprattutto dopo che Cesare aveva ostruito, nel 48 a. C., l'imboccatura d'accesso al porto interno, rendendolo una palude. Su quest'altura, comunque, i Romani trovarono lo spazio adatto per costruire la lunga e diritta via Lata (a ricordo e somiglianza della via Trionfale di Roma), che terminava in via Indipendenza. Dei Messapi ci restano tratti di mura in via Camassa e corte Capozziello, oltre alle "trozzelle" esposte al Museo Provinciale; i reperti lasciati dai Romani in più di sette secoli sono molto più numerosi e importanti, e in buona parte sono ancora sotto le nostre strade e case. Saggi di scavi stratigrafici eseguiti in vico Seminario e via Casimiro e davanti al tempietto di San Giovanni hanno riportato alla luce mosaici, rocchi, plinti, sarcofagi e teste marmoree, rinvenuti fino alla profondità di 2,75 metri (dopo i Romani il suolo della città si abbassò di due metri e più, probabilmente a causa dei terremoti del VI secolo); ciò che rende necessario evitare scavi che non siano finalizzati alla ricerca archeologica.

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